079 - Il candidato Caio Giulio Cesare Mussolini - 2019-04-20
Il presupposto è che nessuno deve essere condannato per il suo cognome. E fin qui siamo tutti d’accordo. Però se tuo padre è nipote di Benito Mussolini e ti ha chiamato Caio Giulio Cesare Mussolini hai due chance: o rinneghi le scelte del tuo celebre antenato e per mitigare l’apoteosi imperialista ti fai chiamare solo Giulio oppure accetti per intero il tuo altisonante ed evocativo nome di persona, e rivendichi al contempo la vicinanza con la figura del dittatore.
Oltre alle mancate revoche delle cittadinanze onorarie, in queste settimane il cognome Mussolini è tornato di moda sulla stampa nazionale e internazionale. La nipote Alessandra, attualmente europarlamentare e nota polemista televisiva, si è molto risentita perché l’attore americano Jim Carrey ha pubblicato una vignetta di Piazzale Loreto con i corpi appesi a testa in giù e la didascalia: “Se vi state chiedendo dove porti il fascismo, chiedetelo a Benito Mussolini e alla sua amante Claretta”. Però più originale è sembrata l’improvvisa apparizione di Caio Giulio Cesare, candidato con il partito di Giorgia Meloni – Fratelli d’Italia – per le elezioni europee nella Circoscrizione Sud. Figlio di Guido, a sua volta candidato sindaco di Roma con Forza Nuova nel 2001, Caio Giulio Cesare Mussolini è nato in Argentina nel 1968, ha vissuto in Venezuela dal 1978 al 1986, per poi intraprendere la carriera in Marina come sommergibilista. Dopo la carriera militare è diventato manager di Finmeccanica, la più grande azienda italiana di armi e tecnologia militare. Dal 2007 vive ad Abu Dhabi lavorando per Drass Middle East, una società livornese che produce sommergibili di piccole dimensioni. Insomma, non certo un profilo di un povero rifugiato politico, né quello di un giovane che non riesce a trovare lavoro a causa del suo cognome.
Come ben si comprende, l’Italia è anche il paese della creatività scorretta, e per questo incubatrice di grandi disastri storici: Machiavelli per primo teorizzò la politica svincolata dalla morale; la Mafia come anti-Stato l’abbiamo inventata noi; Mussolini influenzò le idee politiche di Hitler (che andò al potere ben nove anni dopo il nostro) così come Berlusconi ha anticipato Trump e Bossi ha farfugliato contro l’Europa prima di Le Pen e Orban. Una Nazione che alla fine della seconda guerra mondiale non ha potuto né voluto fare i conti con la realtà, con le verità che l’avevano portata alla miseria, alla guerra civile e alla dissoluzione. Non aveva potuto per i giochi incrociati della geo-politica: l’Italia sotto il controllo americano non poteva mai diventare comunista e l’unico modo “democratico” era quello di nascondere un po’ di polvere del passato sotto il tappeto. Ma era soprattutto nel loro intimo sentire che gli italiani non avevano voluto capire fino in fondo le loro responsabilità, rimasti ancora avvolti nella patina della propaganda e della fede. Per cui quasi tutti gli alti funzionari, militari e statali, rimasero al loro posto, mascherarono le loro idee, senza mai rinnegare passato, amicizie e collegamenti. Quando nel 1969 scoppiò la bomba nella banca di piazza Fontana a Milano, si scoprì che molti agenti segreti, capi militari, giudici e uomini di Stato erano ancora figli del regime fascista. Quella bomba peraltro sanciva un perentorio: ora basta, di qui non si passa. E infatti la democrazia italiana, che stava quasi per formarsi nella sua totale integrità, venne bloccata e da allora, per oltre vent’anni, un susseguirsi di avvenimenti mai totalmente chiariti. Immaginate che nella P2 di Gelli (sciolta per legge nel 1982) erano quasi tutti uomini di provata fede fascista.
I tedeschi invece hanno ben compreso (con dolore) cosa fu l’atrocità della loro dittatura, quali disastri umani ed economici aveva procurato e, senza mai dimenticare, ne hanno fatto un cardine del cambiamento. Nessun parente di Hitler si è mai sognato di affermare di essere orgoglioso del suo congiunto, e quasi tutti hanno scelto di modificare il loro cognome per non dover continuamente darne spiegazione. Qui siamo all’assurdo che Benito sia ormai considerato quasi un pacioccone che voleva il bene dell’Italia, dimenticando omicidi, guerre, invasioni, stragi di innocenti, razzismo, eliminazione di partiti e riduzione al silenzio del Parlamento. Siamo al paradossale, siamo abituati, ma non dobbiamo arrenderci.
Il nome Caio Giulio Cesare era in realtà quello di Caligola, l’imperatore romano che regnò dal 37 al 41, ucciso a 28 anni dai suoi stessi soldati. Le fonti storiche hanno tramandato di Caligola un'immagine di despota, sottolineandone stravaganze, eccentricità e depravazione. Lo si accusa di aver dilapidato il patrimonio accumulato dal predecessore per offrire al popolo giochi, denaro e cibo. Le sue stravaganze, ispirate all'autocrazia dei monarchi orientali ellenistici e al disprezzo per la classe senatoria, furono per molti secoli indicati come il parametro negativo di ogni dittatura. Ecco a chi si è ispirato il papà di Caio Giulio Cesare Mussolini.
La mia colonna - il Volantino, 20 Aprile 2019
Alfredo De Giuseppe