141 - Dei ballottaggi - 2020-10-10
In Italia non riusciamo a fare una legge che davvero semplifichi le procedure e che vada verso una logica di buon senso. Anche quando ci si mette con la buona volontà e con le migliori intenzioni.
Nel marzo 1993 fu finalmente approvata la legge che prevedeva l’elezione diretta del Sindaco. Finiva l’epoca degli accordi sottobanco, dell’elezione del Sindaco all’interno di stanze ben chiuse, dove il Consiglio Comunale era solo un verificatore di decisioni prese altrove. Però i legislatori vollero introdurre dei nuovi ostacoli: i Comuni superiori a 15.000 abitanti, ove nessun candidato avesse raggiunto la maggioranza assoluta, avrebbero eletto il Sindaco con un ballottaggio fra i due più votati. Inoltre si poteva procedere ad apparentamenti ufficiali anche con le liste degli altri candidati sconfitti. Quale fosse l’intento di tali principi non è ben chiaro, certo è che in ogni caso tali nuovi istituti hanno portato molte controindicazioni. Primo fra tutti, i Comuni più grandi sono mediamente più litigiosi e ingovernabili di quelli più piccoli che hanno una sola tornata elettorale, una sola lista per candidato Sindaco e si vince con un solo voto in più (come del resto nelle Regionali).
L’allungamento di due settimane dopo il primo turno, questa specie di tempi supplementari, è uno strazio per tutti. I candidati sindaco sono ripetitivi e stanchi. I consiglieri sono in parte defilati e in parte diventano famelici cacciatori di voti. I cittadini devono sopportare pazientemente richieste di voto sempre più pressanti, sempre più personalizzate. In pochi giorni, movimenti, liste e partiti che si sono contrapposti con idee e persone diverse, dovrebbero convergere in un’unica formazione, per governare insieme in modo armonico e coeso. L’apparentamento infatti non lo fa più nessuno, perché davvero senza senso.
Il ballottaggio invece viene da lontano. Pare che il nome derivi dal sistema elettorale del doge di Venezia, che era costituito da una complessa successione di passaggi che alternava la determinazione diretta degli elettori del doge e la loro nomina attraverso l'estrazione casuale di "balòte", sfere dorate e argentate, che venivano utilizzate esclusivamente a tale scopo. Insomma una specie di democrazia diretta basata anche sulla fortuna e sull’estrazione a sorte.
Il 4 e 5 ottobre, Tricase ha eletto il proprio Sindaco. Antonio De Donno è diventato Sindaco dopo il ballottaggio con Carmine Zocco. Mentre nella prima parte della campagna elettorale, il dibattito si era mantenuto dentro i limiti della correttezza, dei buoni propositi e dentro prospettive programmatiche (seppur minime), il ballottaggio ha fatto esplodere, come sempre, i peggiori istinti di una sfida ad personam. Trucchetti, diffamazioni, interventi sbracati e social scatenati sono diventati l’incubo delle due settimane che hanno preceduto il voto finale. Da una parte si parlava di vecchie gestioni fallimentari di Enti semi-pubblici, dall’altra di elargizione di promesse di lavoro, di buoni spesa, di parenti e serpenti, oltre ai consueti attacchi alla stampa (anche quando non si schiera). Insomma il solito spettacolo indegno offerto durante i tempi supplementari, da competitori ormai stremati, senza più idee, circondati da ottimi suggeritori di malefatte, essendo gli stessi dei creatori di bugie seriali (ma credibili). E tutto questo nonostante i due duellanti appartenessero entrambi all’area (allargata) del centro-sinistra.
Ogni volta, dopo questo spargimento di veleno, bisogna tentare di rimettere nella loro giusta collocazione i cocci del paese e non sempre è cosa semplice. Anche perché alcune cose dette in campagna elettorale, tanto per colpire l’immaginario dell’elettore, continuano a rimbalzare nelle sedi istituzionali (se non giudiziarie) nei successivi cinque anni.
In ogni caso ha vinto Antonio De Donno, figlio di Giacomino, nonché ex-democristiano, approdato come molti di loro, nelle fila della nuova sinistra organizzata, quella delle ammucchiate post-moderne, dove le differenze ideologiche sono (falsamente) sopite da format dialettici abbastanza collaudati. Renzi ed Emiliano insegnano.
La patata bollente che il buon Antonio dovrà risolvere al più presto è quella della Giunta e in quell’occasione potremo individuare meglio il percorso che questa nuova Amministrazione si appresta a compiere. Al suo interno ci sono molte anime e per quanto grande sarà il Paradiso di Sant’Antonio non potrà ospitarle tutte. C’è la componente destrorsa che vorrà la propria visibilità, le frazioni (Depressa è stata fondamentale per la sua vittoria) non possono rimanere al palo, gli amici di Abaterusso (vedi Nunzio Dell’Abate) non saranno spettatori inermi, il PD reclama la sua centralità, i giovani sono sempre stati sui palchi dei comizi, le donne non possono mancare per legge, lo sport e la cultura non potranno essere dimenticati, c’è un PUG da approvare e quindi servirebbe un esperto vero, c’è qualche amico di vecchia data, c’è il richiamo di Emiliano che ci dovrà aiutare a trovare le risorse. Poi non dimentichiamo che se verranno nominati assessori alcuni degli eletti, potranno arrivare in consiglio altri candidati non eletti, il cui DNA va analizzato con attenzione.
Quando c’è così tanto da scegliere, in genere l’allenatore avrebbe bisogno di partite amichevoli e di una preparazione di base prima di formare la squadra definitiva. Ma qui non è possibile: bisogna partire subito, tentando di fare il meglio. A meno che non si voglia fare come nella Venezia dei Dogi: prendere delle sfere dorate e argentate ed estrarre a sorte. Nessuno sarà fuori, ma solo divisi da oro e argento.
La mia colonna - il Volantino, 10 ottobre 2020
Alfredo De Giuseppe