Libere fenomenologie del 2022-08-06 - Consumo di suolo
Siamo tutti colpevoli. Anche io, naturalmente. Ognuno di noi, nel suo piccolo o nel suo immenso, ha una qualche responsabilità per il consumo di suolo, che si sta mangiando la terra che ci circonda, gli alberi, l’agricoltura e quindi l’aria che respiriamo. Secondo il rapporto 2022 dell’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale, “il consumo di suolo in Italia fa perdere 2,2 metri quadrati di suolo ogni secondo, sfiorando i 70 chilometri quadrati di nuove coperture artificiali in un anno, con relativa scomparsa irreversibile di aree naturali ed agricole. Il 2021 è stato l’anno con il valore più alto rispetto agli ultimi dieci”. Alla faccia della tanto decantata transizione ecologica, che addirittura ha un ministro e tanti ma proprio tanti soldi da spendere.
La provincia di Lecce è una di quelle che più è cresciuta in Italia sia in termini percentuali che assoluti. Per fare un paragone Siena e Livorno hanno aumentato la cementificazione di circa 12.500 ettari, mentre la nostra provincia in un solo anno ha invaso altri 39.000 ettari (Bari 37.000). Questo significa che lo sviluppo che tanto volevamo per il nostro territorio si sta trasformando in un incubo catastrofico. Comuni che non hanno piani regolatori di contenimento, tentativo di sfruttamento di tutte le aree costiere, disboscamento quasi totale, amministrazioni pubbliche sorde e cieche, sempre pronte ad accogliere nuove ipotesi di strade, nuovi insediamenti industriali e commerciali. Insomma, di fronte ad un territorio piccolo, che finisce su tre lati marini, largo come un isolotto posto al centro del Mediterraneo, ricco di flora e fauna, di biodiversità, di bellezze storiche e antropiche, non sappiamo fare altro che continuare ad allungare in orizzontale i nostri pur piccoli e disabitati paesini, verso un ampliamento grottesco e folle, spesso brutto e inutile.
Il turismo è una specie di miraggio fiabesco che fa ammattire quasi tutti: nessuno lo vuole regolare secondo sani principi di sostenibilità, eppure essendo arrivati per ultimi avremmo potuto copiare i migliori esempi esistenti sul pianeta. Ma noi siamo una di quelle stirpi autolesioniste, quasi masochiste: godiamo nel farci male, non possiamo programmare, non possiamo contrastare gli abusi. La fantasia la usiamo solo per aggirare gli ostacoli legislativi. Siamo antropologicamente portati a dire si, a raccomandarci per qualsiasi cosa, abbiamo una passione immensa per la proprietà immobiliare, intesa come difesa finale di ogni nostra recondita paura. La nostra cultura è purtroppo predatoria, che sia legalizzata o banditesca. E purtroppo non sfugge nessuno, perché quando l’aria è infetta non si può respirare dentro una scatola magica. In una sola parola, autodistruttivi. Tutti insieme, chi incendia le stoppie e poi gli ulivi, chi costruisce un cubo rustico e poi lo abbondona, chi amministra e non ha mai voglia di dire la verità, chi fuma e abbandona mozziconi, chi fa il bagnetto abusivo (“tanto è poca cosa rispetto all’IlVA”), chi fa l’educatore senza avere nessuna cognizione del territorio.
Ci sarebbero delle proposte serie da fare, ma non conosco ancora l’indirizzo esatto a cui recapitarle. Ne butto qualcuna a caso, le prime che mi vengono in mente: 1) far decadere i Comuni che non abbiano piani regolatori approvati e comunque bloccare tutte le lottizzazioni in corso; 2) chiudere e sequestrare immediatamente tutte le case che non abbiano un sistema fognante sicuro; 3) aumentare l’altezza massima dei condomini; 4) con legge ad hoc intervenire entro 12 mesi nelle aree agricole distrutte dal fuoco con nuove piantumazioni e nuove colture. Probabilmente ce ne sarebbero altre cento, da mettere in fila, da osservare con attenzione e pragmatismo, ma qui pare tutto impossibile, tranne fare quello che facciamo da una sessantina d’anni: l’autodistruzione collettiva.
Su “il Mondo” del 11 settembre 1975, in risposta ad alcune considerazione ferragostiane che aveva fatto l’allora Presidente della Repubblica, Giovanni Leone, così scriveva Pier Paolo Pasolini: “L’Italia – e non solo l’Italia del Palazzo e del potere – è un Paese ridicolo e sinistro: i suoi potenti sono delle maschere comiche, vagamente imbrattate di sangue: «contaminazioni» tra Molière e il Grand Guignol. Ma i cittadini italiani non sono da meno. Li ho visti, li ho visti, in folla a Ferragosto. Erano l’immagine della frenesia più insolente. Ponevano un tale impegno nel divertirsi a tutti i costi, che parevano in uno stato di «raptus»: era difficile non considerarli spregevoli o comunque colpevolmente incoscienti”.
Se dal 1975 ad oggi non abbiamo ancora capito che è il caso di rivedere alcuni nostri stili di vita, di ripensare alcuni paradigmi della società industrializzata, se non saremo in grado di moderare almeno per qualche decennio la nostra voracità pseudo benestante, la Terra, intesa stavolta come pianeta, ci presenterà un conto molto salato, che nessuno sarà in grado di pagare. Buoni e cattivi, purtroppo sulla stessa barca.
il Volantino, 6 agosto 2022
Alfredo De Giuseppe