Libere fenomenologie del 2023-03-18 - ...del mito italico
Enea era un bel ragazzo dell’Asia Minore, nato e vissuto nelle terre della moderna Turchia. Pare che fosse figlio di Anchise e della dea Venere (a quel tempo, succedeva di avere un figlio con una dea). Corre in supporto di Ettore durante la guerra di Troia, rimane sconvolto dalla morte dell’amico guerriero e ad un certo punto, dopo vari tentennamenti, unisce la famiglia e decide di lasciare la sua città: prende in spalla il padre, per mano il figlio e scappa da Troia che sta per essere distrutta.
Enea, questo turco asiatico, cerca una nuova vita. Chi può dirgli di no? Anche gli dei lo vogliono. Subito dopo la partenza, gli esuli che hanno seguito Enea cercano di fondare in Tracia, al confine con la Grecia, una nuova città dal nome Eneade; mentre raccoglie rami per i sacrifici, Enea vede del sangue che cola dall'arbusto: gli appare qualcuno che gli dice di andarsene da quelle terre. Lui è un buono, crede ciecamente alle apparizioni.
Quindi conduce i troiani verso Delo, un’isola delle Cicladi: qui un oracolo di Apollo indica ai profughi di dirigersi verso Creta. Arriva una terribile pestilenza; in sogno ad Enea compaiono i Penati che gli riportano un altro responso di Apollo secondo il quale i profughi devono muoversi ancora, verso l'Esperia (che era il nome che i Greci antichi davano alla penisola italiana).
Sembra fatta per i troiani fuggiaschi, stanchi e un po’ miscredenti: sono ormai esperti navigatori, ripartono ma una tempesta gigantesca li spinge alle Strofadi, dove incontrano le Arpie; sconvolti dalla malvagità di queste creature mostruose- metà donna e metà uccello - partono verso le isole del basso Adriatico e approdano vicino ad Azio e quindi successivamente a Butroto, in Albania, dove regna Eleno.
I troiani, figli asiatici, belli e forti, partono per l’Italia, arrivano nella penisola salentina, tra porto Badisco e Castro, che pare sia un po’ inospitale (mancano strade e alberghi) e ripartono subito dopo aver fatto rifornimento d’acqua; arrivano nei pressi di Cariddi e approdano sulle spiagge dei Ciclopi, presso l’Etna, però qui c’è Polifemo ed è meglio fuggire al più presto. Questi uomini, disperati del mare, circumnavigano le coste siciliane in cerca di un porto sicuro, approdano a Trapani, dove Anchise muore.
Da Trapani si riprende la navigazione per approdare nel continente italico, ma i venti spingono il barchino in legno verso l’Africa che giunge dunque a Cartagine, attuale Libia, dove Enea si innamora della regina Didone. Anche lei, la regina color ebano si innamora del bel ragazzo turco, ma gli dei non sono d’accordo.
Mercurio lo esorta a partire, non deve indugiare: Didone lo vede partire e si suicida con la spada regalatole dallo stesso Enea. Una nuova tempesta, si intravede di nuovo la Sicilia, che poi sarebbe da considerare Italia. Enea pensa per un po’ che possa stabilirsi in quel luogo, ma il vecchio Naute gli consiglia di lasciare in quella grande isola le donne che non se la sentono di proseguire e di continuare solo con gli uomini più forti. (ed ecco perché la Sicilia è un po’ italiana un po’ no).
Enea arriva quindi a Cuma, in Campania, vicino Napoli, dove cerca la Sibilla che lo introduce nel mondo degli inferi, dove incontra il padre Anchise che finalmente gli predice che lui sarà il costruttore di un grande impero. Tornato in sé, si imbarca con i compagni verso Gaeta, passando vicino all’isola di Circe.
Alla fine, in una bella giornata primaverile, i Troiani avvistano la foce del Tevere, e si fermano. Son passati ben sette anni dalla fuga da Troia in fiamme, ma finalmente il destino pare compiuto: sono giunti nel Lazio, il luogo predestinato.
Qui regna il Re Latino, che ha promesso la figlia Lavinia in sposa a Turno, ma i presagi divini fanno esitare il Re, che chiede auspici all’oracolo di Fauno, il quale gli dice di dare in sposa la figlia a un genero straniero che sta per arrivare per creare un Impero.
Turno ed Enea si dichiarano guerra per la bella principessa (che preferisce il bell’asiatico) e iniziano a combattere. Enea è aiutato da Venere (dea dell'Amore), Turno da Giunone (protettrice del Lazio, oltre che della fecondità). Dopo una lunga guerra, l’Amore vince, finalmente la Profezia si può compiere, Enea si sposa, crea la genia che poi fonderà Roma, il suo Regno, il suo Impero. Il mito italico si fonda, in definitiva, sulle imprese di un manipolo di migranti, che va disperso per mare, che prima lotta per sopravvivere, e poi diventa popolo.
Fin qui il riassunto del riassunto del poema epico scritto da Virgilio nel I secolo a.c., che diviso in 12 libri, rimase incompiuto per la sopraggiunta morte dell'autore avvenuta a Brindisi 12 anni prima di Cristo, forse per un colpo di sole o per un infarto. Se fosse sopravvissuto, oltre a limare il suo capolavoro, avrebbe completato la sua Eneide con almeno altri 12 libri. Secondo me, di profezia in profezia, tra un oracolo e una discesa negli inferi, sarebbe certamente arrivato a prevedere i nostri giorni, narrando al meglio, in esametri, le vittorie italiche che ne hanno fatto la gloria anche in questi ultimi decenni. Avrebbe esaltato infine le doti etiche e proditorie del Berlusca, la capacità intellettuale di Salvini, la chiarezza rabbiosa dell’amazzone Meloni.
Un’altra cosa, nel suo senso di pietas, avrebbe fatto notare il buon Virgilio, che il Mediterraneo ha un’unica frontiera, non ha nemici genetici ma cangianti secondo convenienza, che non necessita di passaporti quando si scappa per salvarsi. Siamo tutti migranti, stiamo ancora naufragando. Poi, uno su un milione diventa un eroe e noi siamo qui a cantarlo, anche contro il parere degli dei.
il Volantino n. 9 – 18 marzo 2023
Alfredo De Giuseppe