Libere fenomenologie del 2023-03-25 - ...del mio paese sfiduciato
Vivo in un paese del Sud Italia, né grande né piccolo, in difficoltà, come molti, come quasi tutti. Dal 2011 è passato da 17.611 abitanti ai 16.684 di oggi: lo spopolamento avanza, nonostante il pomposo entusiasmo turistico (che in verità è vissuto molto virtualmente). Negli ultimi vent’anni questo ridente paese ha avuto molte disavventure legate alla classe amministrativa, di qualsiasi colore politico, con qualsiasi personalità, con qualsiasi politico modellato sui vincenti del momento storico. All’inizio del secolo, Coppola e il suo centrosinistra parcellizzato, sul modello Ulivo, poi cadute anticipate e commissari prefettizi, la giunta Musarò con tutto il centrodestra unito sul modello fittiano-berlusconiano e invece disunito su ogni cosa, poi ancora commissari e Coppola con il suo centrosinistra personalizzato (dove nessun altro toccava palla). Nel 2017 è arrivato Carlo Chiuri con una serie di liste impressionanti, di cui non rimase traccia dopo poche settimane. Nuova caduta improvvisa e anticipata, e nuove elezioni nel settembre 2020. Antonio De Donno vince riunendo intorno al suo nome una eterogenea (o liquida) compagine che va dal PD a Forza Italia.
Ora a circa 30 mesi dalle ultime elezioni, in mezzo del cammin del suo mandato, è arrivato il momento di una breve disamina sul suo governo. Tricase necessita di una riflessione e di una manutenzione.
La prima riflessione è semplice: saper vincere non significa saper governare. Con questa legge elettorale – abominevole - dei Comuni con più di 15.000 abitanti, prima e durante le elezioni si assiste ad un mercato delle vacche con un numero di liste in appoggio a quella del candidato sindaco che non hanno nulla di politico e neanche di pre-politico. Sono spesso il nulla della dimostrazione di forza, che è in realtà dimostrazione di faccia tosta nel chiedere a più gente possibile di candidarsi, senza neanche spiegarne il perché. Alla fine un numero alto di candidati fa vincere le elezioni, ma a costo di promesse certe a centinaia di persone, di una visione parcellizzata del governo, dove ognuno potrà chiedere qualcosa per sé, specialmente a quelle forme residuali di partito che ancora resistono nelle forme più variegate. Naturalmente nella gestione quotidiana questo non è possibile e nasce dunque la prima frattura, quella tra l’eletto e i propri sostenitori. Dopo qualche mese questa frattura si trasporta in Consiglio Comunale, dove la mancata coesione genera una serie di equivoci a catena, fino ad arrivare alla rottura finale, tutti ormai sfiniti nell’inutile ricerca di una pur minima programmazione.
Seconda riflessione: se tutte queste persone elette, specialmente i primi cittadini degli ultimi vent’anni, sono tutte brave persone, profili di professionisti preparati, uomini entusiasti, come mai non sono riusciti ad incidere sulle scelte, sulla qualità complessiva, sulla creazione di un vero senso di comunità? La risposta che mi dò è una sola: la personalizzazione della politica non funziona, non si può identificare un’Amministrazione Comunale con un singolo, quasi sempre il Sindaco, dimenticando che una squadra può vincere solo se si muove in modo armonico e coordinato. E spesso questa squadra è formata da persone che non hanno mai approfondito nulla, che hanno l’errata sensazione di poter fare senza mai aver fatto.
Bene, di tutto questo nell’attuale Amministrazione De Donno non si parla, né si discute, magari si fanno gli sgambetti. Tre semplici domande dovevano essere alla base di questa Giunta che si era presentata (ancora una volta) come rinnovatrice e portatrice di salvifici valori comuni: 1) che fare del Piano Regolatore? 2) come riorganizzare l’Ufficio Tecnico e la macchina amministrativa in generale? 3) Come muoversi rispetto alle emergenze sociali, economiche, ambientali del nostro Comune?
Il Piano Regolatore era già ben avviato dalla precedente Amministrazione Chiuri ed è stato di fatto bloccato. Segnalo che tale assenza ha provocato nei decenni disastri di ogni tipo, come la cementificazione di tutto il territorio a macchia di leopardo, con l’impossibilità di avere un’efficiente rete viaria, rete fognante e servizi vari. Tricase ha più o meno lo stessa superficie in Km quadrati dell’isola di Manhattan dove vivono circa 1,6 milioni di persone. Questo dovrebbe far riflettere su quanto sbagliate siano alcune nostre concezioni urbanistiche.
Gli uffici del Comune sono ancora in fase di riorganizzazione, mentre il mondo scappa, con il PNRR, con i suoi ritmi incalzanti, con le nuove implementazioni sostenibili. In assenza di direttive precise ogni pratica edilizia è fonte di polemiche, ritardi, discussioni sulle persone e sui reciproci conflitti d’interesse.
Sulle criticità ambientali e sociali non mi pare si sia aperta una seria e concreta piattaforma di lavoro: tutto è demandato ad altri Enti, ad altri Ministeri, a personaggi esterni a noi, spesso esterni a tutto tranne che a loro stessi.
In queste brevi osservazioni c’è tutto il disincanto e lo scetticismo del semplice uomo di strada, che non può esimersi però dal fare un invito. Questo è il momento della svolta, prima dell’eventuale, inevitabile rottura: chiarire le posizioni interne alla maggioranza; prendere di petto alcune questioni irrisolte da decenni (evito l’elenco ben noto); aumentare la comunicazione con i cittadini da parte di tutti i componenti della Giunta (almeno questo); far innamorare i giovani della Politica attraverso una serie di iniziative, non solo parolaie. Altrimenti è meglio lasciare, in politica sonnecchiare è come affogare.
Vivo in questa Tricase assonnata, che un tempo era anche isola felice. Oggi colpita, come tutte le città, da furti e incendi d’auto, da una malavita sotterranea ma evidentemente famelica. Una cittadinanza che si chiude ogni giorno di più, che non riesce mai ad essere comunità, che ha paura di ogni cosa. Forse più di ogni altra cosa di sé stessa, delle sue storie nascoste, ma anche delle sue potenzialità.
il Volantino n.10 - 25 marzo 2023
Alfredo De Giuseppe