Libere Fenomenologie del 2023-11-11 ... delle ultime osterie

 

Bisogna essere fortunati per parlare di certe cose. E bisogna nascere in luoghi magici, senza neanche saperlo. Ho vissuto la mia infanzia in una strada che collegava due piazze, una del castello e una della chiesa, che a loro volta avevano due osterie. E anche le case dei nonni materni e paterni, una vicina alla chiesa e l’altra vicina al castello. E io curioso bambino cresciuto tra quei vicoli, nei cortili delle case a corte, già da piccolo seguivo il nonno e lo zio che alla prima avvisaglia di tramonto si avviavano verso una delle osterie. Minuscoli esercizi di mescita di vino, formati quasi sempre da una sola stanza, tre o quattro tavolini e un bancone in muratura, e gente che fumava in continuazione, anche sigari anneriti non so da cosa, forse dal vino stesso. E c’è ancora nel naso, se rifletto, quell’odore stantio, saturo di mosto, fumo, sudore e pioggia. Si, pioggia, perché osteria significava autunno e poi inverno e forse un po’ di primavera.

Si giocava a carte per lo più, a scopa e a briscola, con le carte napoletane. C’erano i giocatori fissi e gli osservatori neutrali. Io mi divertivo ad osservare proprio questi, uomini non definiti, dal successo improbabile, che tifavano ora per uno ora per l’altro. Sentivano i giocatori sbattere le carte, bestemmiare contro la malasorte, e più spesso contro il compagno, restavano in silenzio e cercavano di capire. Raramente venivano interpellati e quasi mai si ergevano a giudici. Gli osservatori neutrali dell’ONU sarebbero stati meno discreti. Perché dire qualche parola in più, fare una battuta fuori posto equivaleva ad essere allontanati in malo modo da uno qualsiasi dei giocatori, spesso con l’accusa di portare sfortuna. Tendenzialmente agli osservatori potevo chiedere qualcosa mentre ai giocatori era quasi impossibile. Capii che la partita a carte era tremendamente seria ed esclusiva, mentre la passatella era alla portata di tutti.

L’oste, in genere un pover’uomo di mezz’età, forse invalido di guerra, cercava di mantenere la calma. Quello era il suo compito principale: non far scoppiare risse tra ubriachi. Di tanto in tanto da dietro il bancone tirava fuori una manciata di lupini, tanto per aumentare la sete, in un posto dove non c’era acqua. Osterie improvvisate, dove anche le autorizzazioni comunali erano vaghe, un posto dove ritrovarsi tra uomini, dopo il lavoro manuale, dentro una società patriarcale, dove la donna attendeva il rientro del marito sperando non fosse troppo ubriaco. Ricordo ancora la moglie di un giocatore che arrivava trafelata fuori dall’osteria, con il fazzoletto in testa, non osava entrare ma gridava “E’ pronto, ti aspetto, vieni a mangiare!”, che detta così sembra quasi un invito dolce ma in dialetto suonava come una minaccia mista ad una preghiera o una forma didascalica di un malessere mai completamente metabolizzato. Durante le feste comandate, ad iniziare dall’undici novembre di san Martino, in una delle osterie c’erano anche i pezzetti di cavallo al sugo e nell’altra la carne di maiale lessa, condita con sale e olio. E forse un po’ di pane duro. Ricordo questi uomini che si accapigliavano al gioco del “patrunu e sutta”, rimuginando sulle giocate precedenti, gli amici coccolati e quelli sempre bastonati. Una volta vidi due uomini litigare e poi spintonarsi fino ai cazzotti, perché uno dei due aveva osato lasciare all’Urmu l’altro, senza vino e senza pezzetti. Io da bambino curioso, quando tornai a casa, chiesi spiegazioni a mia nonna che mi disse soltanto: “non ti ubriacare mai”. E si fece il segno della croce.

Dopo molti anni, nel 2010, sentii l’urgenza di ricercare di nuovo quei sapori e quegli odori. Non volevo perdere l’humus di quella comunità proletaria, di quelle facce, di quelli che consideravo gli anni residuali del medioevo sociale, di quel mondo tutto al maschile divertente e feroce al tempo stesso. C’erano ancora delle osterie nella mia città, quelle osterie, ma stavano per finire definitivamente nel dimenticatoio. Da qui nacque il documentario “L’ultima Osteria”, che avrei anche potuto titolare “Ultimo mondo antico”.  

     il Volantino  n 36 – 11 novembre 2023

 

In questi giorni ho rimontato il documentario del 2010 "L'Ultima Osteria" che ho definito "cut".

Vedi al link  https://youtu.be/gY7pj9sPARc

 

 

 

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