2007-09-01 "Tutino come un autunno", di Maria Grazia Bello - il Volantino
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Per gli scrittori DOC si dice “l'ultima fatica letteraria", ma per Alfredo De Giuseppe “Tutino come un autunno” più che una fatica è un debito pagato con piacere, un debito che pochi possono permettersi di rimettere nei confronti della propria terra, delle persone con cui si è condiviso la giovinezza.
Dall'alto medioevo all'autunno: una carrellata di storie, persone, luoghi ti raccontano tutto un mondo di emozioni. E' il mondo di Alfredo che sembra riportarti in una atmosfera astorica, irreale, e non ti importa più trovare la conferma dei fatti narrati, scoprire se corrispondono alla realtà. Si passa dalla prima alla terza persona in una altalena di licenze letterarie che può permettersi solo chi scrive per amore. Un luogo diventa il pretesto intorno al quale De Giuseppe intreccia una storia, spesso autobiografica, altre volte con protagonisti che nulla hanno da invidiare a certe figure verghiane, segnate da un disincantato anticlericalismo. Ti sembra di respirare la loro stessa disillusione nei confronti di un progresso che lascia perdenti tutti, ricchi e poveri, perché annulla ciò che ti consente di restare un uomo: il rispetto per se stessi, per le proprie radici, per ciò che andrebbe curato e protetto. Come un muretto, un cancello, una stradina, una corte.
Il libro, che esce in una accurata veste grafica per i tipi delle Edizioni dell'Iride, si snoda in capitoli organizzati in modo originale: la narrazione è preceduta da una premessa rigorosa che suona come una denuncia: “Lo scempio di Tutino si è perpetrato negli ultimi venti anni, con la complicità di tecnici divenuti amministratori comunali, di politici attenti a tutt'altro che alla tutela della bellezza, di quella classe media arricchitasi negli anni '80 e '90, dei vecchi proprietari terrieri che vedevano grandi forme di speculazione e anche di quei contadini che, per ignoranza o per non essere da meno, hanno distrutto tutto quanto creato dai propri avi”. Ma, accanto alla fotografia della realtà delle cose, e non solo in senso metaforico visto che il libro contiene un apparato fotografico puntuale di luoghi e persone, De Giuseppe intravede uno spiraglio alla duplice desolazione (a livello estetico ed economico): "Avere cose belle, usarle per quello che valgono dà ricchezza di pensiero, che spesso si trasforma in ricchezza materiale”.
Si è ancora in tempo a salvare il salvabile delle bellezze di un microcosmo che ha visto combattere, spesso invano, tanti appassionati amanti di Tutino?
il Volantino - 1 Settembre 2007
Maria Grazia Bello