2024-11-02 "Noi del dopo-Gutenberg" - il Volantino
Noi siamo quelli che hanno atteso un po’ di millenni prima di vedere un libro stampato con la tecnica di Gutenberg. Fino alla metà del 1400, le storie e le notizie ce le tramandavano per via orale. Noi, per informarci, e capire che cosa succedeva intorno al nostro mondo, abbiamo dovuto lottare contro un’élite che già si era data strumenti di conoscenza e comunicazione. Noi no, noi stavamo in uno stato animalesco, calmierato da informazioni approssimative, riti mistici intorno a pietre e colonne, credenze miracolistiche.
Dopo aver imparato a leggere, dopo aver connesso il cervello con la conoscenza, dopo aver illuminato il nostro cammino di creatività e nuove sfide, abbiamo sviluppato un certo senso critico. Così noi, leggendo e confrontando, abbiamo espresso pareri diversi e conosciuto mondi nuovi.
Noi siamo quelli che hanno sviluppato una certa insofferenza verso i vincenti, i forti, i poteri armati, le ipocrisie collettive, le dimenticanze storiche. Noi non abbiamo creduto alla Conquista del West come modello di successo, perché non abbiamo dimenticato il genocidio dei nativi americani. E neanche quello dei nativi australiani e amazzonici e di tutte quelle persone che non avevano i tratti dei vincenti.
2024-10-26 Tricase, Consiglio mancato, crisi politica - il Volantino
Avevo deciso già da tempo di occuparmi sempre meno della politica politicante del mio paesello. Qualcuno dice che amo scrivere dei “massimi sistemi mondiali” ed in verità non riesco a non pensare (a volte studiare) la situazione in Medio Oriente dove Israele si è giocato un credito secolare attaccando indiscriminatamente civili, terroristi, città, caserme, donne e bambini. Né posso fare a meno di pensare alle connessioni della guerra in Ucraina, armi si armi no, pericolo nucleare, aggressioni e diseguaglianze. Né posso far finta di non vedere le involuzioni delle democrazie occidentali a partire da quella americana per finire a quella italiana. Il tutto in nome di una ipotetica difesa dei confini che è un male secolare dal quale non riusciamo a liberarci.
Ma, come sempre accade, anche la realtà più vicina ti piomba addosso, non puoi schivarla, non puoi far finta di niente. Ed ecco che il posto in cui vivi è un paese senza regolamentazione urbanistica che detta così sembrerebbe una cosa per tecnici e d invece tocca ogni aspetto della nostra vita sociale. Non aver uno strumento è significato negli anni splafonare in ogni dove, costruire in campagna e in collina, avere difficoltà nell’avere servizi adeguati di fogna nera e fogna bianca, strade bianche e nere, un’organizzazione adeguata del traffico cittadino. Questa difficoltà urbanistica si trasforma spesso in difficoltà relazionali, in dispersioni economiche e in un caso, in una specie di soffocamento ambientale. È il caso dell’Ospedale Panico di Tricase che, pur avendo in fase di costruzione oltre 12.000 mq, non ha trovato di meglio che chiedere una parte di una strada pubblica per costruire con opere immaginifiche e impattanti il nuovo Pronto Soccorso.
2024-10-18 "La leggenda di Gino Scarascia"
Nei giorni scorsi la signora Stefania Scarascia mi ha fatto dono di una voluminosa serie di raccolte e ritagli di giornali riguardanti suo padre, Gino Scarascia, calciatore a Modena, nella forte serie B degli anni ’50. La signora, nello svuotare la sua casa di Lucugnano, notava insieme a tanto materiale anche il mio libro “il calcio e Tricase” del 1985 in cui citavo più volte suo padre, decideva di contattarmi per donarmi le preziose rilegature che lo riguardavano. La ringrazio per il gesto e per l’interessante documentazione storica contenuta in quelle raccolte ben conservate: tenterò di custodirle al meglio anch’io.
Chi era Gino Scarascia? Nato il 7 febbraio 1928, era figlio di Tommaso, viveva con la famiglia in una casa affacciata su Piazza Capuccini, dove al tempo si giocava a calcio. Il piccolo Gino vive per tirare due calci al pallone, nella piazza sotto casa, sfuggendo al padre e al lavoro di costruttore/manutentore di ruote di carretti da traino. Quando diventa un bel giovanotto, robusto e veloce, gioca insieme al fratello Nicola e al cugino Alfredo (che a sua volta era un ottimo stopper, ricercato dalle migliori squadre della Provincia). Proprio Alfredo lo propone al Maglie, dove vi arriva a 22 anni: ha sperperato la gioventù tentando di superare l’avversità del padre verso il calcio professionistico, considerato lontano e illusorio.
Ma Gino è un talento puro: esordisce in serie C a Maglie, senza aver mai militato fin ad allora in una organizzata squadra dilettantistica e men che mai in un qualche settore giovanile. Aveva solo giocato sulle pietre del Cappuccini di Tricase, imparando a schivare botte e avversari, saltandoli in velocità come birilli. A Maglie conquista subito i tifosi, segna in due anni 24 gol che sono un bel bottino per un’ala sinistra (allora le ali saltavano l’uomo e crossavano al centro). Nonostante i suoi 24 anni lo notano osservatori del Modena che milita in serie B e da anni cercando di andare in serie A, in competizione col Bologna. Scarascia arriva al Modena in cambio di due giovani promesse, Seghedoni e Gozzi. Alle prime visite mediche si presenta con un piede rotto: lui dice che è caduto del motorino, probabilmente si è fatto male giocando con gli amici qualche giorno prima di partire. Il Modena crede comunque in lui e lo aspetta. Esordisce alla sesta di campionato e diventa subito protagonista: fa gol, assist e soprattutto vola sulla fascia sinistra, in un modo entusiasmante e incontenibile, per i tifosi del “Braglia” è ormai “la freccia del sud”. Tanto è forte, robusto, veloce che gli avversari ricorrono spesso al fallo sistematico: in uno di essi si frattura di nuovo il piede sinistro (partita in casa contro il Marzotto). La sua prima stagione finisce così. Son bastate però dieci partite e cinque bellissimi gol per creare la leggenda del ragazzo del sud, venuto dal nulla, come un vento nuovo, inatteso. Però quell’infortunio cambiò un poco la percezione del confronto con l’avversario e Gino divenne un po’ più attento, quasi timido rispetto al passato. Segna di meno ma rimane un idolo per dirigenti e tifosi del Modena, una società forte che un certo punto aggiunge anche il nome Zenit, dal marchio di un’azienda cremonese di costruzioni che investe nel club una cifra mostruosa (oltre 100 milioni).
2024-10-14 "Albania come una prigione"
16 ragazzi, provenienti da Egitto e Bangladesh, su una nave italiana, presa appositamente a noleggio, sono destinati a due centri albanesi, nati per smistare migranti che poi dovrebbero essere rimpatriati. Uno scellerato (e tollerato) accordo tra Italia e Albania è alla base di questo ennesimo atto disumano verso chi fugge da miseria e discriminazione. Nessuna pietas per i deboli, i poveri, i neri.
Al di là dei costi, e della mera propaganda del governo italiano e purtroppo in parte di quello europeo, Amnesty International scrive oggi sul proprio sito:
“L’accordo prevede la detenzione automatica di chi viene trasferito in Albania, incluso chi richiede asilo. La detenzione generalizzata, che può durare fino a 18 mesi, è una misura arbitraria e quindi illegale. Secondo il diritto internazionale, la detenzione deve essere un’eccezione, non una norma, e deve essere convalidata dal giudice sulla base di valutazioni individuali. Le persone detenute in Albania potrebbero affrontare ostacoli nell’accesso ai ricorsi legali a causa delle difficoltà logistiche e burocratiche legate alla distanza. La mancanza di meccanismi chiari per la liberazione delle persone vincenti nei ricorsi potrebbe prolungare ulteriormente la loro detenzione. Inoltre, la detenzione potrebbe persistere anche dopo la decisione giudiziaria, a causa del tempo necessario per organizzare il trasferimento in Italia”.
La cosa più grave, che ancora una volta lascia basiti e ci fa fare una grossa riflessione sul futuro di questo continente, è l’indifferenza generalizzata, l’adesione intellettuale di gran parte dei cittadini, la malafede di politici e giornalisti. Passa ancora una volta, come quasi sempre nella Storia, la teoria che accanendoci contro i più deboli, andremo a risolvere tutti i nostri problemi.
Tricase (che fotografa l’Albania), 14 ottobre 2024
FB - alfredo
2024-10-12 "L'ospedale e Tricase" - il Volantino
Tricase sarebbe più povera senza l’Ospedale Panico. Tricase respira grazie all’Ospedale, è una risorsa incalcolabile in una piccola economia come la nostra. E poi è un presidio stabile, generalista, eccellente e generoso rispetto alla nostra salute, vicino alle nostre case, come un amico su cui contare. Questo è in sintesi l’Ospedale per i tricasini.
Però è anche qualcos’altro e non posso esimermi dal dirlo, fosse anche per un semplice pro memoria. L’Ospedale di Tricase è un cantiere aperto da decenni, è in una perenne espansione, che pare non tenga conto di due fattori essenziali: 1) l’esasperato consumo di suolo in deroga ad ogni norma, specie quelle in materia idrogeologica; 2) il cantiere si espande all’interno di una struttura urbana disordinata e frammentata che pare non poter assorbire altre costruzioni.
È evidente che una ventina di anni fa qualcuno doveva porsi delle domande sul futuro di questa struttura. Quando fu progettata, nel 1962, era in aperta campagna, tra Tutino e Tricase, non c’erano nei dintorni altre costruzioni civili, né si poteva immaginare il boom edilizio che negli anni ‘60 e ’70 ha fatto di Tricase la solita caotica e poco aggregante città del Sud. L’assenza di un Piano Regolatore ha permesso di tutto, qualsiasi lottizzazione è stata approvata senza mai immaginare il futuro ma sempre assecondando le logiche elettoralistiche del momento, per cui quell’area è divenuta nel tempo una delle più urbanizzate del paese.
Forse all’inizio del 2000 si poteva immaginare qualcosa di diverso, tipo andare in altezza piuttosto che ampliarsi in orizzontale, come una piovra tentacolare, in uno spazio ormai soffocante. Deroga per deroga, si poteva autorizzare una costruzione più alta dei canonici 5 piani. Oppure si poteva immaginare di utilizzare una parte della zona industriale e costruire da zero un ospedale più funzionale e studiato fin da subito per l’idoneità delle nuove esigenze ospedaliere. Sarebbe costato senz’altro di meno che organizzare un cantiere senza fine in mezzo a case, auto, pazienti, dipendenti e cittadini.
2024-10 "Colonia Scarciglia" - 39° Parallelo
COLONIA SCARCIGLIA
Prima luogo di sofferenza, poi di degrado
A Leuca, su Punta Meliso, all’estremo scoglio del tacco d’Italia, fu costruita la Colonia Scarciglia. Un edificio imponente, progettato sul tetto carsico di una serie di grotte marine, denominate Grotte Cazzafri, bellissimi anfratti naturali, frastagliati da innumerevoli stalattiti. Nelle grotte ci si addentra per una trentina di metri con la barca, essendo accessibili esclusivamente dal mare. Luigi Scarciglia, un possidente di Minervino di Lecce, a metà degli anni venti del Novecento, dona una cifra sostanziosa per una struttura da destinare, durante le vacanze, ai ragazzi ammalati di tubercolosi, una malattia che minava la forza della stirpe italica. Il motto era “Salvate la razza dalla tubercolosi”: il regime fascista dedicò un impegno massiccio alla lotta contro questa malattia. Oltre agli elevati tassi di mortalità, vi erano altri risvolti sgraditi: l’immagine del tisico pallido, gracile e potenziale corruttore della razza, contrastava troppo con l’ideale fascista dell’uomo forte e muscoloso e con la necessità di preparare “la grande Italia di domani”.
Siamo sotto il Santuario di Santa Maria de Finibus Terrae e vicino alla Colonna che segna la fine dell’Acquedotto Pugliese, dove il regime volle una specie di cascata monumentale. È il 1928 quando si inaugura: il tempo delle colonie estive e della convinzione che alcune malattie si curino meglio respirando l’aria del mare, magari in un edificio costruito fin quasi dentro il mare. Per quanto riguarda il Sud Salento, oltre alla “Scarciglia” ne fu aperta un’altra ai Laghi Alimini di Otranto, chiamata “Colonia Trieste” (anch’essa completamente abbandonata). Ricordiamo comunque che in tutte le colonie l’età dei bambini andava dai 6 ai 13 anni e divennero un vero e proprio status sociale delle famiglie più povere: nel 1939 furono oltre 800.000 i ragazzi presenti nelle colonie estive di tutta Italia. Mentre tutte le colonie negli anni trenta furono gestite dall’Opera Nazionale Maternità e Infanzia (ONMI) e dall’Opera Nazionale Balilla (ONB) e dal 1937 dalla Gioventù Italiana del Littorio (GIL), la Colonia di Leuca rimase in mani religiose, perché velocemente si trasformò in una specie di sanatorio permanente, perdendo fin da subito qualsiasi connotazione vacanziera.
2024-09-28 Incontrarsi contro l'indifferenza
Perché è importante incontrarsi per parlare del genocidio in Palestina? Semplicemente perché questo non è il momento di voltarsi dall’altra parte, usando giri di parole, o nascondendo la realtà. E questo non può succedere solo scorrendo qualche notizia sui social, ma va implementato sulla strada, facendosi vedere, cercando di capire tutti insieme come ribellarsi a questo stato di cose. Quello che sta succedendo a Gaza, dove per uccidere poche decine di terroristi non si bada al massacro di donne, bambini, padri innocenti, è un qualcosa che dovrebbe farci inorridire come uomini, come cittadini, come europei. C’è invece un’assuefazione, una pericolosa indifferenza tra i cittadini che non porterà a nulla di positivo.
È importante, se possibile, approfondire le ragioni storiche, i risvolti geo-politici, la posizione di alcuni Stati, a partire da quelli che si affacciano sul Mediterraneo, come l’Italia. È inoltre importante capire le implicazioni sociologiche e guerrafondaie, anche personali (vedi Netanyahu), che si stanno determinando sotto i nostri occhi: basta pensare all’uso di bombe fatte esplodere a distanza, installate dentro dispositivi tecnologici.
Vedremo una mostra fotografica con le crude immagini della guerra, dei bombardamenti israeliani su Gaza, dello sterminio e delle conseguenze su donne e bambini sopravvissuti. Ci sarà un collegamento con Shoukri Hroub, Presidente dell'UDAP (Unione Democratica Arabo Palestinese in Italia) che potrà meglio di altri parlarci delle condizioni in cui da anni versa il popolo palestinese. Siamo convinti che ogni città, ogni associazione, ogni cittadino (che si senta parte attiva del mondo che vive) debbano far sentire un grido forte e coeso contro la guerra in Medio Oriente, senza dimenticare tutte le altre in corso. Tante, troppe guerre in una Terra che meriterebbe ben altre priorità.
È l’ora della consapevolezza, non dell’indifferenza. Un movimento spontaneo di giovani, di storici attivisti, riuniti sotto la sigla “SALENTO per la PALESTINA” ha organizzato un incontro Sabato 28 settembre a Tricase presso Scuderie Palazzo Gallone alle ore 19.00. E’ importante esserci.
ADG
2024-09-20 "Di Famiglia in famiglia"
Di FAMIGLIA in FAMIGLIA
Fin dall’avvento della cosiddetta Seconda Repubblica, la famiglia, la difesa della sua sacralità e indivisibilità non ha portato bene ai più importanti leader della destra, che nei discorsi elettorali ne hanno fatto sempre un punto di forza. Berlusconi, Bossi, Fini, Casini, questi erano i quattro cavalieri che agli inizi degli anni ’90 avevano sconfitto la sinistra e difeso le tradizionali idee cattoliche, patriottiche e familistiche.
Silvio Berlusconi (pluricondannato, prescritto, corruttore provato di giudici e politici ben prima di candidarsi come premier) era sposato con Carla Elvira Dall’Oglio, aveva una sorella suora e la madre Rosa continuamente menzionata nei suoi discorsi come la perfetta donna cristiana. Comunque tutto questo non gli impedì nel 1985 di divorziare per sposare l’attrice Veronica Lario. Nel 2009, dopo innumerevoli voci intorno ad amanti, giochini, cenette e nipotine inventate, la stessa Veronica scrisse una lettera aperta a Repubblica affermando “attenzione, mio marito è un uomo pericoloso, perché fuori controllo e ricattabile da persone di ogni genere”. (Fu un unicum internazionale per un Presidente del Consiglio in carica). Lui divorziò per la seconda volta (molto ben protetto dai suoi media), si fidanzò di nuovo con la bisex Francesca Pascale e nell’ultima parte della sua vita con Marta Fascina, divenuta anche lei deputata di Forza Italia, forse a sua insaputa (record di assenze alla Camera). Il patriarca che ha creato una famiglia che ha fatto scuola nel mondo.
Umberto Bossi (nel 2018 condannato per aver sottratto indebitamente allo Stato circa 49 milioni di euro, prescritto in altri processi) era sposato con una donna di Gallarate, Gigliola Guidali, che lavorava come commessa e portava a casa lo stipendio. Dopo sette anni la signora scoprì che quell’uomo che usciva ogni mattina con la borsa da medico dicendole dapprima che andava a studiare e poi a fare tirocinio in ospedale, era nella realtà un perito elettrotecnico per corrispondenza, un nullafacente da bar milanese. Dopo varie discussioni lo cacciò letteralmente da casa. L’Umbertone, quando ormai era riuscito ad entrare in Parlamento inventando la Lega Nord, si risposò con Manuela Marrone, di origini siciliane, dal cui matrimonio sono nati tre figli, uno definito dallo stesso padre “il trota”. Una famiglia del nord che ha conquistato l’Italia.
2024-09-14 "Carni e benzine" - il Volantino
Ciccio sta per chiudere l’ultima macelleria della storica famiglia di macellai, Rocco è diventato un affiliato kuwaitiano, suo malgrado
Gerardo Chiuri è mancato qualche settimana fa, all’età di 96 anni. Suo padre Emanuele Chiuri agli inizi del Novecento aveva aperto una macelleria in Piazza del Popolo. Non era una novità: tutti i fratelli di Emanuele avevano uno spaccio di carni. La sua famiglia era nota in paese come “taiacapre”. Sembrava un imprinting naturale: nascevi taiacapre e quindi eri destinato a diventare un macellaio.
La storia, in realtà, inizia subito dopo l’Unità d’Italia: Salvatore Chiuri aveva sposato Vincenza Musio, che era figlia di un allevatore/macellaio, da cui sarebbero nati 4 figli maschi, Angelo, Francesco, Giuseppe ed appunto Emanuele. Tutti e quattro i fratelli e molti dei loro figli, tra cui Gerardo, divennero a loro volta macellai. Anzi, gli unici macellai del paese, per lunghi decenni i detentori assoluti della vendita di carni di ogni tipo. Non che fossero ricchi o che avessero fatto un cartello sulla vendita al dettaglio delle carni: la quantità pro-capite consumata dai loro paesani era così bassa che si faceva fatica ad acquistare una mezzena tutt’intera e consumarla prima che andasse a male. Non c’erano frigoriferi o congelatori e spesso nel macello comunale di Piazza Cappuccini (una piccola stanza attiva fino alla fine degli anni ’60) si dividevano i pezzi dell’animale, tanto per fare un’economia di scala e di freschezza. Quasi sempre mezzene di bovini e suini allevati nelle campagne circostanti, in piccole stalle, spesso nei terreni dietro casa. Le attività erano aperte solo nei giorni buoni, quelli prefestivi e durante le settimane di Pasqua e Natale, oppure in occasioni di macellazioni importanti, dovute a cause da accertare, ma ben propagandate dall’urlatore itinerante che avvertiva la popolazione dell’occasione da non perdere. Poca carne per tutti, pochi incassi, poco colesterolo, e mezzo chilo riservata allu vannisciatore.
2024-09-06 "Insegne di paese"
In un qualsiasi paesotto d’Italia ci sono negozi storici e negozi nuovi, spesso in franchising. In un paese di circa 18.000 abitanti, oltre un circondario interessante che potrebbe superare i 40.000 e una presenza estiva (agostana) di un certo rilievo, insistono ben 450 attività commerciali. Di queste molte sono di bar/ristorazione e le altre di vendita al dettaglio, per lo più di generi vari.
Se prendiamo in esame solo le strade che formano il cosiddetto “cuore commerciale” del mio paese, possiamo annotare dei cambiamenti davvero notevoli. Soprattutto in merito alle insegne divenute quasi tutte “inglesi” o esoticamente incomprensibili.