2013-04 "In memoria di una prof" - "Il Volantino"
Erminia Santacroce in Crisostomo si è spenta nel pomeriggio del 27 marzo. Potrei qui decantare le sue doti esemplari di moglie e madre, potrei qui esaltare le sue straordinarie doti umane, e invece intendo soffermarmi sul suo aspetto più pubblico. Lei fa parte di quell’esemplare gruppo di ragazzi che per primi, all’inizio degli anni ’60, scelsero di frequentare il neonato Scientifico di Tricase, che iniziava ad essere di massa, eppure ancora riservato agli studenti modello (per capacità e non per censo). Lei si diplomò brillantemente e si laureò in tempi record. A 22 anni già insegnava presso l’Istituto Professionale e dopo poco tempo nello stesso Liceo Scientifico dove aveva studiato. E lì è rimasta per oltre ben 40 anni, fino alla pensione. Io l’avevo conosciuta quando avevo dieci anni, mio padre segretario e io a giocare a calcio nei dintorni, poi me la sono ritrovata professoressa e infine amica attenta e riservata fino all’altro giorno. In questi lunghi e difficili decenni, lei, la professoressa Santacroce, non era solo l’insegnante di Scienze e biologia, era anche la confidente delle ragazze, era lì pronta a darti il consiglio più pratico, più materno, più disinteressato. Con i colleghi tentava di avere un profilo coerente al fine di evitare il litigio inutile, sapendo che l’anno successivo lei sarebbe stata ancora lì, che quel professore non poteva essere un nemico, ma un compagno di viaggio, indispensabile alla formazione dei ragazzi. Passeggiare per decenni sul filo dei rapporti interpersonali senza mai cadere non è facile, lo può fare solo una persona che unisce umiltà, intelligenza, rispetto e altruismo. Erminia aveva tutte queste doti: non sapeva dire di no ad un ragazzo che gli chiedeva una ripetizione, un’interrogazione fuori orario o un corso intensivo per superare test d’ammissione all’università. Ma era anche donna di grande cultura. Il suo essere umile si esaltava proprio perché non faceva pesare mai le sue conoscenze, leggeva libri di tutti i generi, sapeva emozionarsi di fronte ad una bella lettura ed era aggiornatissima sulle ultime uscite editoriali. Le più belle recensioni per le mie cose le ricevevo da lei al telefono, in lunghe chiacchierate che lasciavano intuire soprattutto l’analisi matura, la capacità di una sintesi ottimistica della vita, anche quando questa presentava sfaccettature difficili. Se parlavi di politica, lei aveva idee sempre lucide, benché rifiutasse di occuparsene nella pratica, e quando era in disaccordo con qualcuno non avanzava verità precostituite e assolute, ti sorrideva e andava oltre. Poteva in alcuni casi non essere così dolce e accomodante e invece lo è stata fino in fondo. A scuola non amava mettersi in mostra, ma svolgeva il suo grande compito quasi sotto traccia, nella straordinaria capacità di saper distinguere la personalità di ogni alunno, di condividerne spesso difficoltà e ambizioni. La plastica visione di questo affetto reciproco è emerso durante i funerali, nella Chiesa Matrice di Tricase, con decine e decine di ragazzi commossi e costernati. Oltre alla bellezza dei suoi tre figli, l’immagine dei suoi studenti venuti da tutti i paesi del capo di Leuca per dare l’ultimo saluto alla professoressa, è stata una cosa davvero toccante. La dimostrazione finale, quasi scientifica, su quanto lei intimamente credeva: essere una prof equivale ad essere un altro genitore. Non aveva mai creduto al professore che timbra il cartellino e diventa un divulgatore professionista, sapeva di giocare con il futuro, con la vita di decine di ragazzi, accolti prima della pubertà e condotti fino alla maturità. Essere una professoressa come è stata Erminia Santacroce è un sistema di valori giganti, fatti di sacrificio e beltà, di gioia di vivere.
Il Volantino - Aprile 2013
Alfredo De Giuseppe