2024-09 "Carni e benzine" - il Volantino

 

Ciccio sta per chiudere l’ultima macelleria della storica famiglia di macellai, Rocco è diventato un affiliato kuwaitiano, suo malgrado

Gerardo Chiuri è mancato qualche settimana fa, all’età di 96 anni. Suo padre Emanuele Chiuri agli inizi del Novecento aveva aperto una macelleria in Piazza del Popolo. Non era una novità: tutti i fratelli di Emanuele avevano uno spaccio di carni. La sua famiglia era nota in paese come “taiacapre”. Sembrava un imprinting naturale: nascevi taiacapre e quindi eri destinato a diventare un macellaio.

La storia, in realtà, inizia subito dopo l’Unità d’Italia: Salvatore Chiuri aveva sposato Vincenza Musio, che era figlia di un allevatore/macellaio, da cui sarebbero nati 4 figli maschi, Angelo, Francesco, Giuseppe ed appunto Emanuele. Tutti e quattro i fratelli e molti dei loro figli, tra cui Gerardo, divennero a loro volta macellai. Anzi, gli unici macellai del paese, per lunghi decenni i detentori assoluti della vendita di carni di ogni tipo. Non che fossero ricchi o che avessero fatto un cartello sulla vendita al dettaglio delle carni: la quantità pro-capite consumata dai loro paesani era così bassa che si faceva fatica ad acquistare una mezzena tutt’intera e consumarla prima che andasse a male. Non c’erano frigoriferi o congelatori e spesso nel macello comunale di Piazza Cappuccini (una piccola stanza attiva fino alla fine degli anni ’60) si dividevano i pezzi dell’animale, tanto per fare un’economia di scala e di freschezza. Quasi sempre mezzene di bovini e suini allevati nelle campagne circostanti, in piccole stalle, spesso nei terreni dietro casa. Le attività erano aperte solo nei giorni buoni, quelli prefestivi e durante le settimane di Pasqua e Natale, oppure in occasioni di macellazioni importanti, dovute a cause da accertare, ma ben propagandate dall’urlatore itinerante che avvertiva la popolazione dell’occasione da non perdere. Poca carne per tutti, pochi incassi, poco colesterolo, e mezzo chilo riservata allu vannisciatore.

La dislocazione delle rivendite di carne era unicamente al centro storico, a poche decine di metri l’una dall’altra. Sulla piazzetta della verdura ce n’erano due, per un breve periodo anche tre, una era sulla Piazza principale, quella con la grande statua del patriota risorgimentale, un’altra era in via Tempio e quella del padre di Gerardo “al trave”, poi identificata come Piazza del Popolo. Un’altra era su via Garibaldi, che una revisione storica della toponomastica trasformò in Domenico Caputo e un’altra ancora su Via Toma, che prima era semplicemente via Municipio. Sembrava che solo il centro storico potesse avere degli esercizi commerciali e del resto i taiacapre erano nati in quelle stradine e lì trovavano la stanza idonea, l’aiuto del parente, la clientela conosciuta. Lì si poteva macellare il piccolo agnello, lo si poteva esporre gocciolante di sangue al gancio di ferro appena fuori dalla porta d’ingresso, si poteva preparare il sanguinaccio di maiale, ci si poteva assentare anche per bere un bicchiere di vino o per porgere velocemente le condoglianze al figlio del vicino. Non era obbligatoria l’acqua corrente e neanche un’affettatrice. Tutto era consolatorio e coraggioso, benché si operasse in un contesto pre-consumistico, dove la sopravvivenza non prevedeva le proteine carnivore.  

La fine della seconda guerra mondiale segnò un periodo di povertà ancora più accentuata e solo verso la metà degli anni cinquanta si iniziò ad intravedere in lontananza la luce del progresso. Qualcuno comprò una moto e qualcun altro un’auto, specie i ricchi e gli autisti di professione. Pochi in verità, ma quei pochi diedero inizio alla motorizzazione di massa. Che a sua volta necessitava di meccanici, carrozzieri e benzinai.  

Intanto nel mondo c’era già chi aveva trasformato il bisogno di un minimo di dignità in affare di dimensioni enormi. Erano le compagnie petrolifere che cercavano piccoli distributori in ogni paesino, in ogni lontana contrada. Cominciarono a circolare strani personaggi, definiti “rappresentanti”, che convincevano piccoli commercianti ad arrotondare i loro guadagni con la gestione di una pompa erogante benzina, gasolio e miscela. Erano necessarie poche cose: una cisterna nelle vicinanze, l’elettricità e qualcuno che potesse servire i gaudenti possessori di mezzi alimentati a benzina. Fu così che nacque una storia originale: ben quattro macellai del paese divennero anche benzinai. Non contava molto il guadagno quanto la nuova attrazione modernista: avere la pompa di benzina significava servire nuovi clienti, parlare con persone più danarose, in definitiva essere sul mercato con nuovi servizi. Capitava, è vero, di assistere a scene grottesche, tipo il benzinaio con il camice sporco di sangue, ma tutto faceva progresso e a nessuno importava più di tanto. Gerardo aprì un distributore della compagnia ESSO, quello con “la tigre nel motore”, ti fermavi sulla piazzetta col motore acceso, non c’era quasi mai la coda, lui sbrigava il taglio della fettina e provvedeva con solerzia e professionalità a miscelare olio e benzina, ti metteva il dovuto e scappava dentro la bottega. E così tutto il giorno, per lunghi anni. 

Questo durò fino alla fine degli anni settanta del novecento, il secolo del motore a scoppio, dell’automobile e della velocità. Ma le auto cominciarono a diventare un po’ troppe, anche nei paesi del profondo Sud e fu necessario spostare le pompe di benzina fuori dal centro abitato. Quello della piazza grande si trasferì sulla via per il mare, quelle più antiche chiusero per consunzione e la Tigre di Gerardo si spostò verso la nuova e spaziosa zona commerciale, a debita distanza da case e cose. Poi Gerardo e suo figlio Rocco decisero di abbandonare definitivamente le carni e si dedicarono solo alle benzine. Gli altri macellai chiusero per sopravvenuto pensionamento senza che nessuno dei figli seguisse la secolare attività, divenuta ormai preda di industrializzazione e sfruttamento intensivo.

Ora, all’incrocio principale, quello con i semafori, la macelleria di Ciccio, l’ultimo dei taiacapre, l’ultimo degli uccieri, sta per chiudere. La foto del padre Toto ancora giganteggia in negozio, ma la pensione arriva per tutti. Quando Rocco lascerà la sua pompa di benzina, passata in questi ultimi mesi dalla tigre ESSO agli arabi Q8, e Francesco Chiuri detto Ciccio avrà chiuso la sua macelleria all’angolo dei semafori, si potrà raccontare compiutamente questa lunga e complessa storia di macellai miscelati a benzinai.

Per ora basterà sapere che il tutto non è ambientato in un fantasioso paese sudamericano, ma nella Tricase medievale che fu, quella che tentava un difficile posizionamento nella modernità.   

il Volantino, 14 settembre 2024    

Alfredo De Giuseppe

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